NEL PAESE DI OGNI DOVE

RACCONTO PUBBLICATO SU NOTIZIARIO DI USMATE VELATE DI LUGLIO 2021

Nel paese di Ognidove una mattina l’orologio della piazza non svegliò l’abitato come il solito, a dire il vero, il primo cittadino non sentì nemmeno lo scrosciare delle acque che scorrevano poco distante dalla sua abitazione.

Sentì invece un mormorio che si fece sempre più intenso e che lo costrinse ad affacciarsi al poggiolo.

Il vigile urbano, il postino, il medico, il farmacista ed il parroco si erano radunati e stavano discutendo animatamente. Si schiarì la voce e chiese al gruppetto: «Scusate, ma è successo qualcosa?».

«È cosa grave» risposero in coro, venivamo da lei per esporle i fatti, ma se scende, può capire da sé.

Si vestì in fretta e furia e li raggiunse.

«Non ho sentito i rintocchi delle sette» disse rivolgendosi al parroco DonDante, mentre ancora si abbottonava la giacca.

«Fosse solo quello!» rispose il prete oscillando la testa da un lato all’altro, che insieme all’andatura sghemba lo facevano assomigliare a un pendolo.

«Suvvia dite!» proferì inquieto rivolgendosi al gruppo.

«Guardate voi stesso» disse il postino indicando il fiume.

«Beh allora?» disse spazientito, ma si fermò a bocca aperta quando si accorse che le acque del fiume correvano al contrario, dalla foce verso la fonte.

Si mise le mani nei capelli e fu in quell’istante che un bottone della giacca saltò via e rotolò verso il corso d’acqua nel quale infine cadde. La corrente lo raccolse e lo portò in alto, in direzione delle montagne.

«Cosa diamine sta succedendo?» disse a voce bassa come se volesse chiederlo solo a se stesso.

Il farmacista intervenne spiegando che non era la sola stranezza, tutto girava al contrario: le lancette dell’orologio del campanile, le pale del mulino ma cosa più strabiliante le piscine naturali, mete turistiche per eccellenza, erano piene di pesci morti. La corrente li sbalzava dall’acqua, li scaraventava in alto con un salto enorme prima di farli precipitare nelle pozze d’acqua cristallina termale, che in una sola notte si erano trasformate in un luogo putrido e infetto.

«Convochiamo il consiglio d’urgenza!» urlò agli astanti, mentre saliva a passo svelto i gradini del Municipio.

«Voglio un pool di esperti, i migliori!» sbraitò.

Si trovarono in breve in venti persone attorno al tavolo, poi raddoppiarono, triplicarono. Ogni esperto ne chiamava un altro di sua conoscenza e così via. In poco meno di un’ora la sala consigliare non fu più sufficiente a contenerli tutti, allora si spostarono al campo sportivo e in seguito a quello di aviazione. Il groviglio di pareri fu tale che niente fu più attendibile, tutto era il contrario di tutto.

Intanto lungo il fiume, nelle piscine e nei prati che lo costeggiavano, si accumulavano i pesci, che sotto il sole di mezzogiorno cominciarono a diffondere un lezzo nauseabondo ovunque.

«S’incominci a sistemare l’orologio! È da lì che tutto è incominciato» decise infine il primo cittadino.

 La gente intanto si era riunita nella piazza del paese e chiedeva spiegazioni, senza capacitarsi che nessuno conoscesse la risposta. Nacquero risse, tafferugli, qualcuno indisse uno sciopero, il maggior esperto di orologi salì in cima al campanile mentre la folla raccolta nella piazza stava in trepida attesa. Dopo circa venti minuti si sporse da una finestrella:

«L’ingranaggio della semplicità si è talmente assottigliato che non s’incastra più con gli altri, ma non è l’unico problema».

«Ohhhhh» fece la folla.

«Quello del buon senso è sparito proprio» affermò sconfortato l’esperto.

Qualcuno cominciò a cercare i pezzi su internet ma senza risultato.

Sembrava impossibile non trovare una soluzione, ma era così.

« Com’è possibile?» molti chiesero increduli.

«Andate tutti a casa!» ordinò il borgomastro, qui non c’è niente da fare, vi terremo informati.

DonDante, nella sua omelia, invitò a pregare perché le menti fossero illuminate e la quiete potesse tornare nell’amena località.

Intanto il fiume andando al contrario aveva creato, tra le valli, laghi artificiali che divennero una minaccia per il paese sottostante. Il panico iniziò a serpeggiare alimentando atteggiamenti assurdi quanto pericolosi, anche in quell’occasione non si poté dar torto al proverbio che saggiamente ricordava che tucc i can moevan la cua e tucc i martul disan la sua.

Uno spazzacamino che non era certo un esperto di orologi gridò da un comignolo il suo parere:

«Gli ingranaggi» disse, «devono muoversi in sintonia, nessuno di loro è importante se non s’incastra con il suo gregario. Forse singolarmente hanno ritenuto di poter bastare a se stessi, ma è questo lo sbaglio più grosso, addirittura uno di loro si è allontanato».

Gli esperti furono finalmente d’accordo, bisognava tenerli uniti. Era indispensabile che si rendessero conto che solo collaborando, dando forza al vicino, sostenendolo al bisogno, tutto sarebbe tornato a funzionare con armonia. Ne avrebbero beneficiato il fiume, il mulino e la gente tutta.

La gente tacque, qualcuno pianse, la folla infine si disperse e si rinchiuse in casa in cerca di riparo dal puzzo tremendo che si era depositato su ogni ramo, strada, panchina o prato. Non c’era soluzione, non c’erano idee, solo sfiducia.

Gli ingranaggi avevano ribaltato una situazione che sembrava inattaccabile, la reazione del popolo fu inaspettata e inverosimile. L’elenco delle cose che non si potevano più fare divenne più importante del problema stesso. La rinuncia,  il disagio e il sacrificio inevitabili sembrarono improponibili, inaccettabili. Come se l’armonia e lo stato di benessere raggiunto dal villaggio non provenisse dal sacrificio e dall’impegno di chi li aveva preceduti, come se quell’esempio si fosse disperso insieme agli ideali che lo avevano sostenuto. Tutti volevano tornare al prima, senza rendersi conto che un prima, come prima, forse non ci sarebbe più stato, ma con lo sforzo di tutti si poteva uscirne migliorati, più forti, più coesi. Il borgomastro però non mollava, continuava a cercare soluzioni a tutto tondo, anche se ormai si sentiva scoraggiato.

Una mattina mentre sollevava la testa dalla scrivana sulla quale aveva dormito, una bambina entrò nel suo ufficio con una grande scatola.

«Chi sei?» le chiese.

«Sono una bambina, non lo vedi?» gli rispose.

«Che cosa vuoi?»

«Ti ho portato un regalo».

«Non è il momento scusa, ho un sacco di problemi» disse affranto.

«Questo però ti può aiutare» replicò lei con un bel sorriso radioso.

«Se non hai la soluzione al problema, non mi puoi aiutare» disse scuotendo la testa.

«Scusami, ma qui ti sbagli» disse la bambina.

Il borgomastro la guardò perplesso, poi fu curioso di sapere cosa mai avrebbe potuto aiutarlo a uscire da quel ginepraio.

«Non ho nemmeno io la soluzione» gli disse, «ma ti ho portato un elemento fondamentale per la tua battaglia, è la speranza, senza la quale ogni sforzo è vano».

«Ce la farai! Ce la faremo tutti, non smettere mai di sperare», così dicendo si avviò verso l’uscita trotterellando, poi si girò e gli mandò un bacio alitandolo sulla mano.

Lui l’afferrò al volo e andò avanti rincuorato e fiducioso, nella mente gli balenò una possibilità realizzabile, anche se richiedeva uno sforzo corale ma decisivo. Allungò istintivamente la mano verso il futuro e lo sentì sulla punta delle dita. Di lì a poco aprì la finestra del suo studio, si rivolse alla piazza con le lacrime agli occhi, ma non riuscì a parlare. La commozione gli serrava la gola mentre vedeva la sua gente che finalmente si abbracciava, cantava, rideva mentre il fiume scorreva placido verso il mare.